XV ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI (3-28 ottobre)

I giovani, la fede e il discernimento vocazionale

Discorso del Cardinale Lorenzo BALDISSERI nella Università Urbaniana, 10 Aprile 2018

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università urbaniana

Discorso di S. Em.za Rev.ma il Cardinale Lorenzo Baldisseri

Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi

 

Pontificia Università Urbaniana, 10 Aprile 2018  

 

Eminenza, Eccellenze, Autorità, Docenti e Studenti, Amici

 

         Rivolgo un saluto cordiale all’Em.mo Cardinale Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e Gran Cancelliere della Pontificia Università Urbaniana, e ringrazio il Magnifico Rettore Rev.do Padre Leonardo Sileo, per l’invito alla Festa patronale dell’Università e per pronunciare un breve intervento, come Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, in occasione della prossima Assemblea Ordinaria del Sinodo sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale.

         Colgo l’occasione per ricordare che il 17 ottobre 2105 si è celebrato il 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo da parte di Paolo VI, con il Motu proprio Apostolica sollicitudo. In queste cinque decadi, l’istituzione si è stabilita e consolidata progressivamente, ed oggi con Papa Francesco ha acquisito un tono e un accento particolare in quanto la sinodalità è proposta dal magistero pontificio come elemento costitutivo che sta entrando nella dinamica dell’azione pastorale ad ogni livello della vita ecclesiale.  

         IL mio contributo vuole rispondere al tema suggeritomi: “L’agire per crescere. Riconoscere, interpretare e scegliere” – tratto dal Documento preparatorio del Sinodo. Questi verbi provengono a loro volta da Evangelii gaudium in cui è riassunta l’essenza del discernimento: «riconoscere e interpretare le mozioni dello spirito buono e dello spirito cattivo, ma – e qui sta la cosa decisiva – scegliere quelle dello spirito buono e respingere quelle dello spirito cattivo» (EG, 51).

         Ci chiediamo dunque: in che senso il discernimento coinvolge i formatori e i futuri pastori, che la vostra Università accoglie e accompagna verso l’assunzione di responsabilità educative, nella Chiesa e nel mondo odierno? In che maniera un Sinodo sui giovani interessa e viene a toccare le istituzioni ecclesiastiche esistenti nel mondo di oggi, nella società liquida, in cui si constata che le medesime sono messe in discussione, e tra i giovani si instaura un senso di incertezza e provvisorietà? I giovani provenienti da differenti realtà culturali, geografiche e sociali, che si confrontano con altre culture e con sistemi civili, politici ed economici, in che modo reagiscono e prendono contatto tra loro, nelle differenze, per formare la propria personalità e conservare la propria identità?

         Si sono poste queste domande oltre trecento giovani e quindicimila in rete durante una settimana, in un incontro che abbiamo chiamato Pre-sinodale, celebrato dal 19 al 25 marzo scorso a Roma. Il confronto delle diverse culture e tradizioni si è appuntato sulla formazione della personalità e si è dipanato in una sequenza interattiva tra i giovani, che ha suscitato meraviglia per la loro genuinità e spontaneità. Esso ha costituito un valido esempio di incontro tra culture, che i giovani sono capaci di mostrare non solo possibile, ma anche foriero di grande arricchimento, espresso sia nei contenuti del documento, sia in altre forme quali quelle artistiche, come è avvenuto in una serata in cui i giovani dei vari continenti hanno dato vita ad uno spettacolo indimenticabile.

         Il confronto porta naturalmente anche a tensioni e a difficoltà per l’inserimento e l’accettazione delle diversità. Il compito di una Università come la vostra è che nella pluralità si possa offrire uno spazio libero, e i mezzi necessari perché la persona possa formarsi. La varietà delle culture è una ricchezza che non deve essere elusa e risolversi in distanze e conflitti. La Chiesa è, in questo senso, una delle espressioni universali di integrazione del riconoscimento della pluralità, per la sua presenza in tutto il mondo. «La Chiesa durante il suo pellegrinaggio sulla terra è per sua natura missionaria» (AG, 2), da sempre è in uscita, ma soprattutto dal Concilio Vaticano II e, in modo particolare con Papa Francesco, questa dimensione costitutiva è divenuta un paradigma, apprezzato anche dal mondo. Si nota una nuova maniera di evangelizzare, che viene da un approccio diretto e spontaneo da parte delle guide, e non più come una espressione isolata di personalità di grande eccezione come Santa Teresa di Calcutta, Jean Vanier, l’Abbé Pierre.

         Naturalmente, la missionarietà nasce dal discepolato, che è compito di tutti i cristiani, in forza del Battesimo. Ovviamente sono necessarie guide, formatori, educatori che si preparano nelle Università, specialmente in quelle pontificie, ed ecco perché è indispensabile che un giovane sacerdote studente, o religiosa missionaria riceva gli strumenti necessari per tornare nel proprio Paese ad evangelizzare, affrontando le diverse sfide culturali. Come opportunamente annota la recente Costituzione Apostolica Veritatis gaudium: «Gli studi ecclesiastici non possono limitarsi a trasferire conoscenze, competenze, esperienze, agli uomini e alle donne del nostro tempo, desiderosi di crescere nella loro consapevolezza cristiana, ma devono acquisire l’urgente compito di elaborare strumenti intellettuali in grado di proporsi come paradigmi d’azione e di pensiero, utili all’annuncio in un mondo contrassegnato dal pluralismo etico-religioso. […] La teologia e la cultura d’ispirazione cristiana sono state all’altezza della loro missione quando hanno saputo vivere rischiosamente e con fedeltà sulla frontiera» (VG, 5).

 

Ascoltare i giovani

         Tra i punti che ritengo utili per un educatore e un formatore, vi è in primo luogo l’ascolto. Oggi i giovani sono usciti dalla famiglia e dalla scuola quasi senza che gli adulti se ne accorgessero, per cercare uno spazio nuovo e differente, con le caratteristiche e i mezzi tecnologici del mondo attuale, così da rendere non facile per gli adulti l’ingresso in questi nuovi spazi. È allora importante che gli adulti vadano a trovarli dove sono. Come ci ricorda Papa Francesco: «La pastorale giovanile, così come eravamo abituati a svilupparla, ha sofferto l’urto dei cambiamenti sociali. I giovani, nelle strutture abituali, spesso non trovano risposte alle loro inquietudini, necessità, problematiche e ferite. A noi adulti costa ascoltarli con pazienza, comprendere le loro inquietudini o le loro richieste, e imparare a parlare con loro nel linguaggio che essi comprendono» (EG, 105).

 

Scoprire come i giovani giudicano gli adulti

         Un secondo punto consiste nello scoprire come i giovani giudicano gli adulti, cominciando dai genitori e dagli educatori. Questo aiuta a capire il loro mondo, a poter riflettere e trovare una via per loro favorevole, ed uscire dall’idea che è il genitore o l’educatore a disporre il cammino del giovane senza la sua iniziativa spontanea nei confronti del proprio futuro. Occorre perciò evitare di dare l’impressione che la scelta di vita debba essere precostituita. Questo possiamo comprenderlo scoprendo come i giovani vedono gli adulti. Essi infatti non accettano di essere giudicati da adulti che non sono coerenti, e in special modo se sono genitori, educatori o insegnanti. Il disagio nel rapporto tra giovani e adulti aumenta in modo esponenziale quando è spezzata l’alleanza familiare, non solo dal punto di vista giuridico, ma prima ancora quando ciò avviene di fatto.

 

Accompagnare i giovani

         In terzo luogo, si tratta di entrare nel mondo giovanile stando al loro fianco, per cui l’educatore diventa un accompagnatore autorevole, non un capo da seguire. L’immagine biblica che aiuta a comprendere è l’episodio dei discepoli di Emmaus. Gesù si fa viandante e si pone a fianco dei due discepoli delusi, sulla via di casa, quando si era chiusa la loro avventura. Mentre si raccontano gli ultimi momenti vissuti con Gesù, “il loro grande idolo”, il viandante si pone a fianco e domanda loro di che cosa stanno parlando: essi sono sopresi che egli non conosca gli ultimi fatti, di cui tutti parlano. Nel camminare insieme si stabilisce un buon rapporto che produce confidenza e fiducia: egli fa sì che si esprimano e manifestino i loro sentimenti. La fiducia in colui che guida li porta ad aprire il loro cuore. Qui è il grande intervento di Gesù che prende la parola, che fa battere il cuore e apre gli occhi all’interpretazione delle Scritture. L’accompagnatore è così chiamato ad aprire gli occhi e a fornire la chiave per interpretare ciò che avviene, persino di fronte ad eventi tragici come la morte di un amico – cosa che oggi spesso colpisce i giovani in modo forte. Il percorso umano non elude la sofferenza, che i giovani non riescono a capire. Essi si chiedono: perché il male, il dolore, la sofferenza dell’innocente? Perché i propri cari si ammalano, soffrono, muoiono? Perché la fame, la miseria, l’ingiustizia, la guerra? L’accompagnatore offre la chiave di lettura. Quello che accade nel mondo esterno si riflette all’interno, e con il suo aiuto questo riconoscimento assume il significato e diviene una forza per guardarsi dentro e ritrovarsi. È la persona di Gesù che bussa della porta del cuore e chiede di entrare anche nel mistero del dolore, perché Egli stesso l’ha attraversato e gli ha dato un senso.

 

Discernere per decidere

         Ecco che si passa al discernimento. Il quarto punto. In forza dell’incontro avvenuto lungo il viaggio, la guida, dopo l’ascolto, può offrire indicazioni, suggerire obiettivi e favorire scelte libere. «Il percorso della vita impone di decidere, perché non si può rimanere all’infinito nell’indeterminazione» (DP, 4). Un  accompagnamento  non  è  una “teoria  del discernimento”, ma la capacità di «di favorire la relazione tra la persona e il Signore, collaborando a rimuovere ciò che la ostacola. Sta qui la differenza tra l’accompagnamento al discernimento e il sostegno psicologico, che pure, se aperto alla trascendenza, si rivela spesso di importanza fondamentale» (ibidem). Ho avuto il piacere di vedere che anche la vostra Università ha dedicato un convegno internazionale al tema del Discernimento, di cui ho ricevuto gli Atti. In una visione di Chiesa in uscita, il discernimento evangelico costituisce un approccio particolarmente necessario per la  formazione missionaria. Il discernimento avviene in una introspezione dove si scoprono gli elementi necessari per la propria scelta di vita, con l’aiuto della grazia e il prudente accompagnamento di una guida.

 

Strumenti di umanità

         Quinto punto. L’educatore diventa così uno strumento di umanità per il giovane bisognoso di sentimenti e di affetti, non più un insegnante freddo e autoritario, o un semplice burocrate che viene a scuola per avere il salario a fine mese. Questo non accade soltanto nell’ambito scolastico, universitario, ma anche per sacerdoti, educatori o formatori alla vita religiosa che sono preposti istituzionalmente a questo compito. Credo che il fenomeno di poche vocazioni sacerdotali e religiose provenga anche dalla mancanza di accompagnatori dei giovani che vivono una realtà asettica nei vari istituti di formazione. Senza venir meno a tradizioni che ancor oggi hanno grande importanza e rilevanza, occorrerebbe volgersi a orizzonti che impongono una presenza negli spazi e nei luoghi ove vivono i giovani. Lo sforzo che le istituzioni ecclesiastiche missionarie sostengono per una evangelizzazione efficace e una formazione specifica degli operatori pastorali è grande, lodevole e encomiabile. Ne sono testimone per la mia missione prima di Segretario e poi di Nunzio apostolico in molti Paesi del mondo. Ciononostante, si vede la necessità di una maggiore attenzione alle culture differenti, e di una certa revisione di orientamenti che spingano piuttosto in direzione della interculturalità,  sostenuta e apprezzata a vari livelli, e purtroppo non valorizzata o non compresa adeguatamente. L’inculturazione, intesa come innesto, oggi non sembra più rispondente alle nuove esigenze delle popolazioni, in un ambito ormai plurale e allo stesso tempo di aumentata coscienza delle proprie identità culturali. «Non farebbe giustizia alla logica dell’incarnazione pensare ad un cristianesimo monoculturale e monocorde» (EG, 117).

Importanza della comunità

         Sesto punto. Vorrei sottolineare il valore della comunità. Oggi, in un contesto di individualismo esasperato, è importante che la guida o l’educatore raccolga l’anelito e il desiderio dei giovani che, volutamente allontanatisi dalla famiglia e dalla comunità in generale, domandano, quasi implorano, il bisogno di casa, famiglia e comunità. Il concetto di comunità deve essere visto da noi educatori con gli occhi dei giovani, se vogliamo in qualche modo rispondere alle loro esigenze. Manteniamo pure le istituzioni sia civili sia ecclesiali che oggi noi utilizziamo, ma è imperativo guardare oltre, se vogliamo che queste strutture non restino vuote. Il nuovo orizzonte delle comunità virtuali, attraverso la rete, rappresenta una nuova forma di condivisione e quindi di comunità, che si forma attraverso l’isolamento fisico dalla realtà, e si costituisce paradossalmente con una espressione dell’individuo senza un interlocutore. “Registro la mia voce e poi la condivido”. Cliccando sulla App si moltiplica all’infinito il messaggio, con l’intenzione di esprimere esternamente ciò che si ha dentro. Ciò che si ha da dire si dice a tutti, ma a nessuno di preciso. L’alienazione è il risultato: il giovane non parla più, o molto poco, con genitori ed educatori. Aumentano così i disturbi dello spettro autistico e le forme di disturbo alimentare.

 

Responsabilità e servizio

         Settimo punto. L’educatore deve voler bene ai giovani, che vuol dire il bene dei giovani, aiutandoli a maturare e così ad imparare cosa significa assumersi responsabilità. Quell’umanità che emana dalla guida, così necessaria, si deve poi concretizzare in azioni progressive, ordinate, proprie del cammino formativo utilizzando i mezzi necessari, tra i quali abbiamo ricordato il discernimento, le attività proprie delle istituzioni educative, il buon rapporto con le famiglie e gli educatori. Tutto ciò perché si stabilisca tra l’accompagnatore e il giovane un rapporto sereno, sano ed equilibrato, il cui frutto si realizza nell’impegno verso gli altri. Infatti, «sono molti i giovani che offrono il loro aiuto solidale di fronte ai mali del mondo e intraprendono varie forme di militanza e di volontariato. Alcuni partecipano alla vita della Chiesa, danno vita a gruppi di servizio e a diverse iniziative missionarie nelle loro diocesi o in altri luoghi. Che bello che i giovani siano “viandanti della fede”, felici di portare Gesù in ogni strada, in ogni piazza, in ogni angolo della terra!» (EG, 106).

 

Riconoscere, interpretare, scegliere

         Il rapporto che si stabilisce tra educatore e giovane fa sì che inizi un percorso umano e spirituale che si può descrivere con tre verbi: riconoscere, interpretare, scegliere. Questo avviene nell’ambito del discernimento, che fa da cornice al quadro della crescita e della maturazione. Riconoscere significa guardarsi dentro. L’educatore diventa lentamente uno specchio che non riflette la propria immagine, ma lascia che si formi interiormente nel giovane la consapevolezza di se stesso, con onestà, senza paura né giudizio. Si tratta di un reciproco scoprire le proprie convinzioni, idee, insieme a sentimenti, limiti e debolezze, in un rapporto asimmetrico, nel senso che il giovane si apre, racconta ciò che ha dentro, comprese le cose più delicate. Il formatore le recepisce e, allo stesso tempo, le può affrontare con la propria esperienza di vita, che proviene dal suo ministero, senza però proiettarsi o pretendere di riprodursi in nome di una errata concezione di paternità. Come un padre che lascia la libertà al proprio figlio di fare le sue esperienze, sempre con le braccia aperte pronte a riceverlo e sostenerlo, specialmente dopo le cadute. Infatti, come rispose Papa Francesco a degli studenti di scuole cattoliche: «quello che importa non è di non cadere, ma di non “rimanere caduti”. Alzarsi presto, subito, e continuare ad andare» verso la casa del padre.

         Interpretare significa vedere il positivo e il negativo nelle cose, cioè saper discernere il bene dal male. Noi partiamo da realtà vissute. Il giovane ha contatto con adulti, insegnanti, compagni, amici. Si trova immerso in una realtà complessa. Come riesce a distinguere tra ciò che è bene e ciò che è male? Per interpretare egli ha bisogno di aiuto, da solo non ce la fa, non si sente sicuro di poter dire che quella cosa, quell’avvenimento, quella persona per lui è bene o male. Senza voler giudicare, interpretare vuol dire riconoscere che occorre fare attenzione alle persone che s’incontrano. In tutto questo lavoro è indispensabile l’accompagnatore che aiuta a vedere il bene e il male, e a distinguerli in contesti sempre più complessi.

         Nel contesto di questa vostra Università, interpretare significa occupare tempo e spazio per la ricerca e lo studio approfondito che riguardano la formazione dei futuri sacerdoti, pastori ed educatori. Gli istituti affiliati all’università e i seminari acquisterebbero maggiore forza e capacità di poter recepire le istanze locali per una pastorale più vicina alla vita del popolo, in quanto i formatori e coloro che hanno ricevuto una formazione superiore e universitaria sapranno meglio spezzare il pane della cultura e della fede.

         Vi ringrazio dell’attenzione